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a garantire un pasto gratuito
alle persone svantaggiate.
Nella vita sono stato fortunato: l'unico senso che
posso dare a questa fortuna, È di condividerla con chi vive un momento di difficoltÀ.
Fulvio Soave sintetizza così il senso del suo ambizioso progetto.
Quarantasette anni, un passato da impresario edile, Soave da tredici
anni guida l'Hotel Soave- Best Western a San Bonifacio. Professionista
dell'accoglienza a tre stelle (con un personale record di Quality Award
messi in fila negli ultimi sei anni), Soave non è per questo avulso
dalla realtà socio-economica di questo difficile periodo.
Ci sono padri separati che non riescono a mettere insieme il
pranzo con la cena, persone anziane che con la pensione non
ce la fanno, bambini sempre più spesso vittime innocenti di
una congiuntura che li priva di opportunità ma anche, sempre
più spesso, di cose essenziali: basta parlare con i parroci o con
i dirigenti scolastici per capire quali siano le nuove povertà.
Quelle di persone a cui manca l'essenziale, bambini che disertano le
mense scolastiche perchè se il papà lavora ma la mamma no
(e siamo ancora nell'ambito di bambini in qualche modo fortunati),
i soldi per un panino ci sono, ma nulla di più. Solitudini e povertà
che ci vivono accanto, quasi completamente rese invisibili dal pudore
delle persone, da quel senso di "vergogna" che rende ancora più
pesante la difficoltà.
Il 23 dicembre 2012, ho chiuso l'hotel per un giorno
intero per regalare ad una settantina di persone la possibilità
di fare davvero Natale. È stata un'esperienza esaltante racconta
Soave, ma anche assolutamente difficile dal punto di vista emotivo.
Si è tentati di credere che il disagio parli lingue diverse dall'italiano,
sia chiuso nelle abitazioni di chi in Italia ci è approdato lasciando
il suo Paese.
Oggi, invece, non è più così. Oggi, il povero, ha il volto del vicino di casa.
Un vicino di casa che non ha un volto, un sesso, un'età, un credo religioso,
un'etnia, una convinzione politica, uno status: Mamma Anna vuole essere
due braccia aperte sul bisogno, ed il bisogno non ha una carta di identità.
Io la vedo così, vedo due mani che accolgono qualcosa che altre
due mani offrono.
Soave si è fatto carico della start-up: in campo ha messo risorse,
attrezzature, logistica, mezzi che consentono alla tavola di Mamma Anna
di andare avanti per sei mesi. Da imprenditore, anche se potrebbe
apparire controcorrente, ha deciso di investire nella solidarietà:
anche,o forse soprattutto, in tempo di crisi. Non appena il suo progetto è diventato
oggetto di passaparola, la "cucina" ha cominciato a crescere: il primo a
crederci è stato il parroco di San Bonifacio, che mette a disposizione in
comodato d'uso gratuito i locali della Casa della Giovane. Poi è stata
la volta di un nutrito gruppo di associazioni che hanno scelto di coinvolgersi
per essere, al tempo stesso, promotori dell'iniziativa tra le persone che
hanno più bisogno ma anche braccia operative che integrano quelle,
metaforiche, di Mamma Anna. Saranno le realtà del volontariato parrocchiale
ma anche laico ad "intercettare" il bisogno veicolando l'opportunità
offerta da Mamma Anna.
Che è una mamma vera, perchè Anna si chiama la madre di Fulvio Soave:
Sono cresciuto a pane e solidarietà, con mia madre sempre impegnata
a sostenere iniziative benefiche per chi aveva bisogno. Non sempre
l'ho capita, non sempre ho condiviso le sue scelte. Solo ora tutto è chiaro.
Mamma Anna è il mio modo di dirle grazie.
Esattamente come ha scelto di fare Bruno Serato che alla mamma Caterina
ha intitolato il Caterinas' club, la fondazione attraverso cui, proprio quest'anno,
è stato possibile servire ai bambini il piatto di pasta numero 500.000.
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